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Nel mio immaginario ho sempre pensato alla costa atlantica come ad un luogo grigio, umido, marciulento. Un luogo dove uno scrittore depresso possa scrivere il romanzo della sua vita. Un luogo di perdizione, dove la vista si perde all’orizzonte pregno di nebbie e salsedine.
Il risveglio di questa mattina credo che corrisponda perfettamente a quanto da sempre immaginato.
Quando alle 9 alzo la tapparella, un cielo pregno di pioggia ci da il buon giorno. Una distesa infinita di coltri grige, un cielo fuligginoso ed umido come solo il mare sa regalare. Il tutto accompagnato da quel tipico odore di “mare” caratterizzato da una punta di marcio di fogna.
Insomma, niente di più e niente di meno di quello che ci aspettavamo.
Dopo un’abbondante colazione, attraversiamo la strada e scendiamo in spiaggia. Rimango subito spiazzato dall’immensità di queste spiegge. Il pensiero corre subito alle immagini del fotografo giapponese Kenna e capisco tante cose. Mi avvicino alla riva per ascoltare meglio il respiro dell’oceano e godere del fascino dello sconfinato. Non so perchè ma ogni volta che mi trovo di fronte alla vastità del mare, non posso fare a meno di pensare a quegli uomini che nei secoli passati hanno dovuto sfidare le proprie paure nell’affrontare tanta vastità. Un briciolo di invidia, non lo nascondo, lo provo sempre.
Non invidio di certo quel manipolo di avventurieri che ha scelta questa mattina per praticare il surf. Insomma, i 7 gradi dell’aria non invitano certo a buttarsi nell’acqua, ma del resto ognuno ha le sue passioni…
Ci lasciamo alle spalle Mimizan plage e ci dirigiamo verso sud con destinazione Contis plage. Il paesino che ieri notte ci sembrava deserto ora brulica di vita, beh almeno non siamo da soli. In poco più di una mezzora siamo a Contis e finalmente mettiamo la prima crocetta su un faro. Una struttura che si erge a qualche centinaio di metri dal mare immerso in una pineta. La sua vista dalla spiaggia è veramente sorprendente. Un baluardo bianco e nero che si erge su un mare verde. Non si può non pensare che questo elemento non ha nulla a che vedere con l’ambiente che lo circonda.
La pioggia comincia a cadere con una certa insistenza e la sosta si fa gioco forza breve.
Riprendiamo la strada, questa volta verso nord, in particolare verso Arcachon e la Duna di Pyla. Quando finalmente raggiungiamo il parcheggio della duna, un sole non proprio timido buca già le nuvole ed una brezza marina cerca di spazzare via le nubi della mattinata.
La duna, intravista dalla strada, ci compare maestosa appena qualche centinaio di metri dal parcheggio, una presenza a dir poco assurda in un paesaggio che di per se ha già poco del marittimo in quanto tutto il promontorio è ricoperto da una fitta vegetazione di pini e altri alberi.
Cominciamo a salire sfruttando una scalinata artificiale e il tutto comincia ad avere un significato. Basta infatti fare qualche decina di scalino per capire la magnificenza di questo spettacolo della natura. Il giallo della sabbia, il blu del mare ed il verde del bosco, veramente una vista sublime.
Descrivere poi questa duna è tanto semplice quanto è complicato spiegare la sua natura. Possiamo dire che si sviluppa per una lunghezza superiore ai 2 km e si alza per almeno 100 metri dal livello del mare, in alcuni punti lo scorcio che se ne ricava appare prettamente africano anche se l’Africa da qui dista qualche centinaio di chilometri.
Il tutto appare talmente strano da sembrare quasi normale. Del resto siamo al mare e c’è la sabbia, diciamo che si è semplicemente accumulato tutta in un punto.
Ci concediamo un lauto pranzo in uno dei baretti ai piedi della duna e quando ormai sono le 18 raggiungiamo l’abitato di Arcachon. Una classica cittadina di mare come se ne vedono a centinaia. Troviamo da dormire all’hotel Villa Regina, un residuato per pensionati in cerca di un posto dove svernare, ma per noi è perfetto. Le grandi finestre della nostra stanza dominano dall’alto l’abitato, all’orizzonte il sole sta lentamente tramondando ed un’altra giornata volge al termine.